Articoli informativi

  • Home
  • Articoli informativi

Danno del nervo alveolare inferiore: cause e trattamento






Quella neuropatica rappresenta senza dubbio una forma di danno iatrogeno non comune ma, allo stesso tempo, temibile, proprio in virtù della rarità oltre che della difficoltà di approccio diagnostico e terapeutico. Il più delle volte si tratta di condizioni transitorie che tendono a risolversi autonomamente nel giro di qualche tempo. In alcuni casi, tuttavia, il danno può richiedere trattamenti anche invasivi di natura neurologica e neurochirurgica.

La variabilità del tipo di danno si riflette sul quadro clinico, che spazia dall’ipo-anestesia, ai diversi gradi parestesia, sino all’allodinia-iperalgesia. Nel 70% dei casi si osserva un sintomo dolorifico.

Nel caso del nervo alveolare inferiore, le possibili cause di interessamento iatrogeno in ambito odontostomatologico possono essere ricondotte a tre, o meglio a quattro categorie principali: il danno susseguente a tecnica di anestesia locale iniettiva, quello causato da terapia endodontica e quello su base chirurgica, a sua volta riconducibile essenzialmente a due tipi di procedure, la chirurgia implantare e l’avulsione del terzo molare inferiore. Secondo lo studio Renton e Yilmaz del 2011, sarebbe proprio quest’ultima la causa più comune (in grado di coprire da sola il 60% dei casi), seguita sorprendentemente dalle tecniche di anestesia locale (19%), alla pari con la chirurgia implantare. Solo l’8% degli episodi rappresenterebbe la complicanza di un trattamento endodontico.

Partendo da questi dati e considerando queste stesse grandi categorie, Martinez e colleghi (2014) hanno condotto una revisione della letteratura riferita al periodo 2008-2013. Le evidenze raccolte, i cui punti salienti vengono riportati qui di seguito, fanno riferimento a un corpus di 45 articoli scientifici, selezionati da un pool iniziale di quasi 400.

Come anticipato, il danno neuropatico del nervo alveolare inferiore non rappresenta una complicanza comune del trattamento canalare. Al contrario, la rottura di uno strumento costituisce un’eventualità temuta ma contemplata dall’endodontista, soprattutto se si parla di strumenti rotanti e soprattutto in presenza di canali sottili e curvature importanti. Difficile comunque che sia lo strumento stesso a oltrepassare l’apice fino a impegnare il canale mandibolare dove decorre il nervo, dato che la frattura sussegue proprio al contatto con un ostacolo improvviso.

Più verosimile che la complicanza sussegua all’estrusione dall’apice di cemento canalare, guttaperca calda o altri materiali a uso endodontico. È pertanto importante conoscere la potenziale neurotossicità di alcuni di tali prodotti.

Per quanto riguarda la localizzazione, si valuti la lunghezza delle radici di primo premolare, primo e secondo molare. Un secondo aspetto da valutare, nel paziente in crescita, è il grado di pervietà degli apici.

Le tecniche anestetiche a livello del nervo alveolare inferiore costituiscono possono rappresentare una problematica clinica rilevante, soprattutto pensando al tasso di insuccesso che grava sulla tecnica più comune, ossia il blocco alveolare inferiore. Eppure sono descritti casi, certamente più rari, in cui la tecnica viene associata a vere e proprie complicanze, alcune delle quali severe e non del tutto imponderabili.

È il caso del danno neuropatico secondario a procedura anestetica: si tratterebbe, come già detto nella prima parte del testo, della causa di quasi 2 episodi su 10 in questo ambito.

Indipendentemente dalla tecnica anestesiologica impiegata – blocco nervoso alveolare inferiore, tecnica di Gow-Gates o di Vazirani-Akinosi – la ripetizione dell’anestesia può risultare comunque inutile in un quadro di refrattarietà all’azione farmacologica, come può essere la pulpite acuta. Più utile, in questi casi, è l’impiego di tecniche supplementari differenti, in primis l’anestesia intraligamentosa.



Una regola generale vuole che qualsiasi atto clinico sia esposto al rischio di errore e, pertanto, più alto il numero di procedure iniettive, più alto il rischio che una di queste favorisca l’insorgenza di una complicanza, anche remota.

Per quanto rari, sono stati riportati casi di danno permanente a carico del nervo alveolare inferiore. Tale struttura sarebbe a minore rischio rispetto al nervo linguale, il quale decorre assai più superficialmente e, per questo, sarebbe più spesso interessato; il sintomo dolorifico, tuttavia, risulterebbe sistematicamente più severo nel caso del nervo alveolare inferiore.

Altrettanto vero il fatto che le soluzioni anestetiche attualmente utilizzate (con le relative molecole) assicurano elevati standard di sicurezza. Secondo quanto evidenziato dallo studio, lungo 6 anni, condotto da Progrel e colleghi, tuttavia, qualunque molecola sarebbe in grado di condurre a parestesia: la classica lidocaina sarebbe legata al 25% dei casi di parestesia, l’articaina il 33% e l’ormai superata prilocaina al 34%. Tali differenze risulterebbero non significative e, pertanto, non utili a definire la relazione di causalità con la singola specie di anestetico. Hillerup, al contrario, indica nell’articaina la molecola a più elevata neurotossicità.

Va ribadito che la complicanza a cui si fa riferimento segue una procedura, almeno nelle apparenze, condotta regolarmente. Capitolo a parte solo le possibili lesioni secondarie a eventi quali la rottura dell’ago durante l’iniezione: tale eventualità si presenta più frequentemente in bambini e soggetti ansiosi, essendo sistematicamente secondaria a movimenti del paziente improvvisi e inattesi.

In ultima analisi, si consideri che una tecnica anestetica condotta lege artis può condurre a complicanze, compreso il danno neuropatico, anche in presenza di variazioni anatomiche: la più significativa, in questo senso, consiste nel possibile decorso bifido del tronco nervoso.

L’ultima causa trattata è rappresentata dal comparto del danno chirurgico il quale, in realtà, rappresenta l’eventualità numericamente più rilevante, in grado di coprire quasi 8 casi su 10 di danno a carico del nervo alveolare inferiore.



L’esito traumatico di un intervento di chirurgia implantare è, in molti casi, espressione di una programmazione deficitaria e, in modo particolare, di una imperfetta fase di diagnostica radiologica. Se, al contrario, il planning è corretto, il danno nervoso è una complicanza rara e, se si presenta, non grave, perché secondaria allo stato infiammatorio e/o al rimodellamento osseo susseguenti all’intervento chirurgico. Un interessamento di questo tipo tende a risolversi spontaneamente, al più tardi nel giro di qualche mese.

Dal punto di vista anatomico, difficile pensare che un trauma di questo tipo possa manifestarsi in una mandibola, edentulia a parte, sana. Più verosimile che si tratti di un aspetto acquisito, come tipicamente avviene in presenza di edentulia completa inveterata, associata a riassorbimento severo della base ossea. Un processo di questo tipo conduce a un avvicinamento relativo del canale mandibolare alla cresta alveolare.

In casi come questo, l’uso di impianti corti può essere un’opzione valida ai fini della prevenzione di complicanze a carico del nervo alveolare. Va ricordato, peraltro, che gli impianti corti stanno suscitando un interesse clinico in campi applicativi più ampi di quello in esame: ancora una volta, dunque, la misura preventiva non viene giustificata solamente sulla base della complicanza, che rimane in tutti i casi un evento raro.

Nell’ambito chirurgico e anche in termini assoluti, però, la causa principale di interessamento del nervo alveolare inferiore (come, in effetti, anche del già citato nervo linguale) è rappresentata dalla chirurgia del terzo molare.

Smith osserva come alcune delle più comuni procedure di aggressione al terzo molare malposizionato, ostectomia, odontotomia o la separazione linguale dell’elemento sono in grado di indurre un sanguinamento eccessivo, a sua volta potenziale causa di deficit transitori della conduzione neurosensoriale.

Jerjes ha definito i fattori di rischio anatomici alla base della parestesia del nervo alveolare inferiore: posizione orizzontale dell’elemento e prossimità al canale alveolare. A ciò l’autore aggiunge la poca esperienza da parte del clinico.

Per quanto riguarda l’aspetto anatomico, Park indica come fattore critico la perdita di corticale ossea a ridosso del canale mandibolare. Si possono inoltre aggiungere aspetti riguardanti la morfologia radicolare.

Anche tali indicazioni sembrano sottolineare l’importanza dello studio del caso, soprattutto dal punto di vista radiografico: a fronte di un concreto sospetto di prossimità tra elemento e canale, l’approfondimento tramite l’esecuzione di una TC cone beam può indirizzare correttamente l’approccio chirurgico al caso.